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Sogno di una sera di fine estate


di PaoloSC
18.09.2024    |    1.786    |    2 8.9
"Una coppia di amici mi è venuta a trovare e ne ho approfittato per portarli a visitare questa ridente cittadina, nota per le sue ricche vestigia etrusche e..."
Sogno di una sera di fine estate

Mattinata di settembre, Tarquinia.
Una coppia di amici mi è venuta a trovare e ne ho approfittato per portarli a visitare questa ridente cittadina, nota per le sue ricche vestigia etrusche e per lo splendido centro storico medievale.
Sono arrivati con il loro camper in un’uggiosa giornata, fredda e piovosa, anomala per essere in settembre, una fine estate fredda come non ricordavo da tempo.
Avevamo fatto un bel programmino: un giro in barca, una puntata alla spiaggia libera di San Giorgio per un po’ di naturismo, un pranzo in un ristorantino e poi… chissà.
Il tempo - maledetto Giove pluvio! – aveva complottato contro di noi infliggendoci pioggia, vento e freddo quasi novembrino; saltati pertanto uscita in mare, mattinata di sole e programmi connessi.
Ottima occasione però per una giornata all’insegna della cultura.
La sera prima ci vediamo e fissiamo l’appuntamento per il giorno dopo.
“Vi passo a prendere verso le dieci e mezza”.

A Roma gli appuntamenti sono flessibili, il quarto d’ora di ritardo è lo standard. “Verso” fornisce un’indicazione, non un impegno; implica un “con comodo, take it easy”. La mia origine non mi ha abbandonato. Le tradizioni, anche le più deteriori, sono dure a morire.
“Paolo, ma quando arrivi?”
“Mo’”.
“Ma mo’ quando?”
“Eh, mo’!”
Significa ora, tra un po’, con comodo, lasciami fare, forse trovo traffico, non mi va di correre. E se poi ti dico “mo’ mo’!” significa anche “con molta calma, non mi mettere fretta, anzi, non mi assillare, che tanto non arrivo prima di mo’!”.
Mo’ è una filosofia di vita, non una stretta indicazione temporale. Racchiude la nostra pigrizia, la nostra sciatteria mentale in cui ci rifugiamo per combattere lo stress imposto da una città infernale.
E pur vivendo in questo piccolo comune, così diverso dalla metropoli, così lontano dalle pessime abitudini e dai ritmi indiavolati di Roma, adotto lo stesso metro rilassato.
“Qui tutto è fermo, / incantato nel mio ricordo. / Anche il vento.” Questa frase di Cardarelli, riportata sulla balaustra dell’Alberata, rappresenta bene lo stile lento, pigro al limite dell’ignavia che il tarquiniese condivide con il tipico romano pensionato o al limite del pensionamento, ma che una vota caratterizzava il lifestyle del trasteverino o del testaccino.
E con questo spirito sono passato a prendere loro, i miei amici di penna, conosciuti in chat qui, su questo sito.

Ci rechiamo alla Necropoli etrusca di Monterozzi, un bel giro per le tombe a ogiva e a tholos, alcune stupende, altre meno, alcune deludenti. Ma forte è il pensiero di quei morti che ci hanno lasciato quelle poche indicazioni sulla loro storia, sulla loro lingua, sul loro modo di vivere. Si apprezza il cambiamento di stile passando dalle tombe più antiche, del VII e del VI secolo a.C., a quelle più recenti, le ultime sepolture al termine del IV secolo, alla fine della loro storia, di fatto conclusasi con la loro definitiva sconfitta da parte di Roma nel 308 a.C

C’è gente in giro, lei è interessata, lui ha dolore alla schiena e non può fare le numerose scale, alcune abbastanza ripide, che conducono all’ingresso sotterraneo. Guide illustrano in tedesco ed in inglese le varie tombe, intercetto la spiegazione sulle differenze di stile tra le tombe più antiche e quelle più recenti.
Andiamo giù, verso la tomba dei Demoni azzurri, una delle ultime scoperte. Ammiriamo il color cielo della pelle dei demoni, ancora abbastanza ben conservato. Nel risalire, sono costretto a distogliere lo sguardo dal quel culo che ondeggia per la scala, vorrei toccarlo ma non posso.

Scendiamo nella Tomba della Fustigazione; in una delle pareti affrescate, una scena erotica mi eccita: lui che scopa lei che spompina l’altro. Lui che la fustiga con un ramo di sambuco, l’altro che le schiaffeggia la schiena. Dall’altro lato, lei sperimenta una doppia penetrazione. Purtroppo il dipinto è stato corrotto dal tempo e dalle troppe mani che lo hanno sfiorato nel tempo, fino a deturparlo, ma è impossibile non apprezzare l’erotismo così potentemente interpretato. Immagino come sarebbe farlo con lei.

Lasciamo le tombe e ci rechiamo in giro per la cittadina, visitando la parte medievale. L’attrazione sessuale verso la lei è forte, vorrei abbracciarla e baciarla, ma la presenza di lui mi frena, mi blocca.

Andiamo al Museo nazionale etrusco. Bellissimo, interessantissimo. Ci soffermiamo a vedere la potenza dei cavalli alati. Sono meravigliosi, sembra che stiano per partire al galoppo da un momento all’altro.
E poi, alla vetrina dei vasi ellenistici, alcuni crateri e kylyx istoriati con scene di sesso: lei che si fa prendere da dietro, lei che distesa a gambe larghe si fa penetrare da lui, e poi, numerose scene di sesso lesbico ed omosessuale.
“Però, questi Etruschi, ci davano giù!”, la mia amica, la voce rotta da un po' di eccitazione.
E’ una sensazione condivisa, la nostra.
Anch’io soffro. Vorrei dare seguito alle mie pulsioni, certo di intercettare anche il suo desiderio, ma c’è lui, del quale non sono sicuro di aver riscosso interesse.
Ci fermiamo al camping, chiacchieriamo un po’ del più e del meno, e poi ci imbarchiamo in una stimolante conversazione di sesso e sul sesso. Lei è spigliata, lui lentamente si apre.
Le confidenze diventano più intime, più personali. Mi racconto, Francesca uno, Francesca due, un po’ di storie di vita, belle, tristi, assurde, irreali. Si raccontano anche loro, molte più esperienze.
Il tempo scorre, è ora di cena. Devo rientrare, il cane da portar fuori, un paio di telefonate da fare.
“Ci sentiamo per dopo cena, se vi va. Qualcosa da bere insieme, va bene?”

Torno a casa, doccia e mi stendo sul letto.
Secondo Google Fit ho percorso quasi 8 km, 11.000 passi.
Ecco perché mi sento stanco.

Sono dentro al loro camper, fuori è troppo freddo e mosche e zanzare hanno deciso di sferrare l’attacco decisivo, come i tedeschi nelle Ardenne. Zanzare Stuka e mosche Mosquitos picchiano sulle nostre braccia, gambe, orecchie pronte a mordere e a succhiare. Meglio dentro.
Chiudiamo la zanzariera, accendiamo una piccola luce e ci accomodiamo in dinette.
Lei tira fuori una bottiglia di limoncello gelato, ne versa per me e per se’, lui non vuole, gli fa male.

Chiacchieriamo, inizia a far caldo, dentro. Impossibile aprire finestre, porte, un nugolo di maledetti insetti rotea fuori e cerca di entrare attraverso le strette maglie. Piccoli moschini riescono a passare, pochi per fortuna: meglio chiudere la porta.

Fa sempre più caldo.
Via la felpa, via la maglietta. Lei rimane in canotta, lui ed io a torso nudo.
Il limoncello ci scioglie, le confidenze sempre più intime.
E’ un attimo, racconto delle mie esperienze di massaggiatore, lei “Voglio provare” rivolta a lui, che annuisce.
“Solo un massaggio. Però dobbiamo spogliarci.”
“Figurati, siamo naturisti” e si spogliano entrambi. Io li seguo a ruota.
Lei si stende sul letto, spegniamo le luci per non dare troppo scandalo, tedeschi e francesi age’ sono vicini, siamo a Tarquinia, non a Cap d’Adge.

Inizio un lento massaggio sulle gambe, pompaggi a salire, carezze a scendere.
Le mani corrono sempre più in alto. Lei ha allargato le gambe, offre la sua intimità alle mie dita.
Guardo lui, chiedo una muta autorizzazione.
Annuisce.
Sottovoce gli suggerisco “Segui i miei movimenti, facciamolo assieme”.
Ha mani grandi, ma sono delicate sulla sua pelle abbronzata, priva di segni. Le unge, poi versa altro olio sulle cosce.
Lentamente segue il mio ritmo, copia i miei movimenti. Ci incontriamo sfiorandoci i dorsi all’apice, le labbra di lei sono gonfie, una sua mano è scesa a carezzare il bocciolo.
Superiamo il culmine, iniziamo ad impastare i glutei, e poi a salire sulla schiena, le spalle.
Ora le mie sono carezze leggere, quelle di lui sono un po’ meno sicure.

“Lascia fare a Paolo, ti va?” gli chiede.
Si sposta e mi lascia spazio.
Ora con gli sfioramenti torno indietro, allargo i glutei, accarezzo la rosellina; verso un po’ d’olio ed ungo bene con le dita, cercando di entrare con una falange, dolcemente, delicatamente, ma applicando una pressione continua fino a che lo sfintere si apre, accogliendomi. Lei divarica i glutei ad aiutare l’introduzione del mio dito medio. L’olio aiuta, ora faccio su e giù, le sue piccole labbra sono divaricate, l’altra mano va ad accarezzarle e cerca il suo umido anfratto, caldo ed accogliente.
Il suo respiro si accorcia, tiene il tempo delle mie dita, io accelero e lei mi segue, sollevando in alto il bacino per poi riabbassarlo e poi ancora risollevarlo ritmicamente, alla ricerca del piacere.
Mi interrompo, esco con le dita e la massaggio sulla schiena, glutei, cosce, polpacci.

Voglio portarla al piacere, ma non subito. Deve essere una salita costante, la ricerca del godimento continuo.
Lei risponde bene, si calma, ma basta che mi riavvicini con le dita e subito ricomincia l’eccitazione.
La pongo carponi, infilo delicatamente indice e medio nella vagina ed il pollice nell’ano ed inizio a fare avanti e indietro, lentamente. Inizia ad ansimare, i suoi movimenti sono più intensi, accompagna il bacino verso le mie dita, alla ricerca di una penetrazione più profonda. Con l’altra mano le massaggio i lombi, carezze che provocano ulteriori stimoli: interrompo di nuovo, le mani vanno a percorrere la schiena, dal collo al sacro, più volte.
Si tranquillizza, si calma, le sussurro “Girati”.

Ora guardo lui. Sento la sua presenza immanente, percepisco un senso di insoddisfazione. “Massaggiala tu davanti. Io ti guido” gli parlo con voce bassa, quasi baritonale.
Scuote la testa “Fai tu”.
“Sicuro?”
“Si”
Mi sposto a cavalcioni di lei.
Il mio pisello è gonfio, duro. La cappella è vistosamente storta a sinistra, un angolo molto evidente. Lei lo guarda stupita, non capisce.
“Induratio Penis Plastica” le dico, e cerco di spiegare. “Tutto bene, non fa male. Però mi si è accorciato di quasi tre centimetri. Ma non importa, va bene pure così.”
Allunga la mano a toccarlo, cerca di scappellarmi.
“No, non ora. Dopo” mentre verso dell’olio in mezzo ai seni e sulla pancia.
Inizio a massaggiarla, prendo i capezzoli in mano e li strizzo, provocandole un momento di dolore, subito sostituito dal piacere. Lo sento, sono duri, ritti, rispondono alle mie stimolazioni.
Scendo verso l’addome, ungo la pancia e scendo verso il pube, totalmente depilato. Inondo di olio la parte. Rivoli scendono lungo le rime, nei solchi inguinali.
Mi sposto più in giù sulle sue gambe e ungo le cosce. Le divarico e mi infilo in mezzo alle sue gambe, seduto sui miei talloni.
Lui mi guarda e si chiede cosa stia per fare. Intuisco e gli sussurro “Spostati su e massaggiale il seno, dolcemente, poi ogni tanto le strizzi i capezzoli, forte, ma non farle male. Dolore e piacere, dolore e piacere”.
Lui esegue.
Riprendo il massaggio, le mani scorrono sull’addome, scivolano sulle grandi labbra e scendono ad accarezzare l’interno coscia, si spostano sull’esterno e risalgono sulle creste iliache, poi sui fianchi fino al sotto seno, per poi tornare indietro, in questo lento carosello di carezze lascive.
Lei ansima, allarga di più le cosce, cerca qualcosa che soddisfi il suo desiderio.
Guardo lui, mi fa un cenno con il capo come ad autorizzarmi.
Lei intanto prende con la mano il pisello del suo compagno, lo masturba e poi lo prende in bocca.
Io invece mi chino con la bocca a succhiarle il suo bocciolo al vertice delle piccole labbra mentre le infilo prima due dita, poi tre. Ha uno scatto, forse le ho fatto male. Mi fermo ma lei mugola e con la mano libera spinge la mia testa.
Sento il suo piacere scorrere dentro di lei, non è molto bagnata ma si sente il turgore delle mucose interne.
Si agita, gode, non sa come provocare ulteriore godimento, ma lo cerca come uno che in mare tira fuori la testa dall’acqua per riempire di nuovo i polmoni esausti dall'apnea.
Lui inizia a muoversi ed a scoparle la bocca. Lei lo accoglie fin che può mentre riprende a spingere la mia testa contro di lei. Si muove su e giù per strusciarsi sulla mia bocca, sul mio naso, sulla mia lingua mentre continuo a penetrarla con tre dita.
Sembra vicina all’orgasmo.
I fremiti sono più intensi, più frequenti.
Lui lo tira fuori e le inonda il viso.
Io sto lì, teso a portarla all’estremo piacere.

“Ding!”
“Paolo, ma non dovevi venire stasera al camping? Ti stavamo aspettando, ma ora si è fatto tardi” leggo su TG.

Scusami.
Scusatemi.
Però è stato un bel sogno.
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